2006

Premio per il miglior cuoco: Moshe Basson

Moshe Basson

Foto: Eyal Toueg - HaaretzThe Marker

Per anni a capo del ristorante Eucalyptus di Gerusalemme, è da sempre attento ai sapori e agli ingredienti della più antica tradizione ebraica, che ha convogliato nella sua cucina, realizzando numerose ricette descritte nelle pagine della Bibbia, fino ad essere definito ‘archeologo del cibo’. Per quasi 17 anni il ristorante “Eucalyptus” ha proposto ‘cucina biblica’ rigorosamente kosher, di altissima qualità, diventando una tappa irrinunciabile per gli amanti della gastronomia più raffinata. Conclusa l’esperienza dell’Eucalyptus, nel 2003 Basson ha fondato il Carmei Ha’ir, e nel 2004 l’Ihlu-Reim, ristoranti aperti anche a chi non può pagare il conto, dove i clienti stabiliscono il prezzo delle portate, a seconda della loro soddisfazione e delle loro possibilità finanziarie. Dal 2001 Moshe Basson fa parte dell’associazione “Chefs for Peace”, composta da 25 cuochi arabi e israeliani, di religione ebrea, mussulmana e cristiana, uniti dalla passione per la cucina e dalla convinzione che il dialogo fra israeliani e palestinesi passa anche attraverso il comune linguaggio del cibo.

Moshe Basson è uno chef fuori dal comune. Meglio ancora: è un uomo fuori dal comune. Cinquantasei anni, israeliano di origine irachena (è nato ad Amarah, in Iraq nel 1950, ma già l’anno successivo si trasferì con la famiglia a Gerusalemme, nell’area di Talpiot), fin dall’infanzia passata nella panetteria dei genitori nel villaggio arabo di Bet Zafafa, Basson ha sviluppato una profonda attenzione per i sapori, i profumi, gli ingredienti della più antica tradizione ebraica e li ha convogliati nella sua cucina: le sue ricette sono le stesse descritte nelle pagine della Bibbia (e non è raro che le presenti citando il versetto esatto in cui se ne fa menzione), i suoi piatti sono conditi con le stesse erbe che le donne ebree usavano secoli fa.

Per questa competenza quasi filologica Moshe Basson è stato definito ‘archeologo del cibo’. Ma la conoscenza approfondita del Talmud e delle consuetudini del suo popolo è sempre stata accompagnata da una rigorosa ricerca dei prodotti tipici del territorio e da un’attenta adesione alla stagionalità: “Se mangi le cose nella loro stagione eviti ogni problema” è la sua convinzione. E per trovare l’erba giusta, la foglia particolare, il frutto al miglior punto di maturazione, Basson non esita a muoversi personalmente passeggiando sulle colline di Gerusalemme o addirittura lungo le strade della città.

Dopo aver prestato servizio militare come ufficiale nell’esercito israeliano, aver lavorato come direttore del personale in un albergo internazionale e aver avviato un’attività di coltivazione di piante esotiche, Basson entrò in società con il fratello, che nel frattempo aveva aperto una caffetteria in una vecchia casa di famiglia, costruita attorno a un albero di eucalipto, piantato dallo stesso Moshe quando era bambino.
Qui Moshe Basson ha dato vita al suo famoso ristorante “Eucalyptus”, che per quasi 17 anni ha proposto ‘cucina biblica’ rigorosamente kosher (cioè rispettosa delle prescrizioni alimentari indicate dalla religione ebraica) e di altissima qualità, diventando una tappa irrinunciabile per gli amanti della gastronomia più raffinata, ma anche da ministri e vip.

Conclusa l’esperienza dell’Eucalyptus, nel 2003 Basson è passato a quella, particolarissima, del Carmei Ha’ir, un ristorante aperto anche a chi non può pagare il conto: sono i clienti a stabilire il prezzo delle portate, a seconda della loro soddisfazione e delle loro possibilità finanziarie. Quello che non cambia è la cura nella preparazione dei cibi proposti. Un anno dopo, nel 2004, ha fondato l’Ihlu-Reim, anch’esso caratterizzato dall’originale idea di di un ristorante dove la dignità viene servita con ogni pietanza.

Nel corso degli anni Moshe Basson è diventato un vero e proprio simbolo dell’alta gastronomia del suo Paese ed è stato invitato a dare dimostrazione della sua arte in ogni parte del mondo, da Washington a Singapore, da Orlando a Melbourne.
Ma, soprattutto, dal 2001 Moshe Basson fa parte dell’associazione “Chefs for Peace”, di cui fanno parte 25 cuochi arabi e israeliani, di religione ebrea, mussulmana e cristiana, tutti uniti dalla passione per la cucina e dalla convinzione che il dialogo fra israeliani e palestinesi possa passare anche attraverso il comune linguaggio del cibo.

Da quando si sono uniti in associazione, promuovono occasioni di dialogo e partecipano a manifestazioni in giro per il mondo, per diffondere questo messaggio. Il loro auspicio? Portare attorno a un tavolo i capi politici delle due parti, per provare loro che se cuochi ebrei ed arabi possono lavorare insieme in armonia, facendo cose buone, anche la convivenza pacifica dei due popoli è possibile. Un traguardo che oggi sembra ancora molto lontano. Ma Moshe Basson e gli Chefs for Peace ci insegnano che la speranza è un ingrediente di cui non si può mai fare a meno.

Premio per l’impegno sociale: Julitte Diagne Cisse

Julitte Diagne Cisse

Foto: Alina Renditiso

Contadina senegalese della regione lagunare della Casamance, è nata in un villaggio nel cuore dei Paesi Diola. Attiva fin dagli anni ’60 come leader delle associazioni femminili rurali, nel 1988 Julitte ha fondato con Pascal Manga la A.S.D.I. (Association Sénégalaise pour le Développement Intégré) una O.N.G. fondata dopo i primi, devastanti, anni di guerra civile, per rispondere all’aggravarsi delle condizioni di vita delle popolazioni rurali. L’associazione opera in diversi settori: microcredito per incentivare la piccola imprenditorialità femminile, lotta alla salinizzazione dei terreni, orticoltura per differenziare e migliorare l’alimentazione delle famiglie, con una particolare attenzione agli equilibri ambientali, sociali ed economici nel territorio, ricercando continuamente la legittimità della propria azione con il coinvolgimento diretto della base della popolazione.

Nella figura di Julitte Diagne Cisse, sono sintetizzati i caratteri di un continente, l’Africa, la cui immagine troppe volte è deformata da rappresentazioni etnocentriche o paternalistiche, nascondendone complessità ed ambivalenze. Attraverso il vissuto di Julitte Diagne si può rileggere la storia di questo continente ed in particolare, quella degli ultimi 50 anni della regione lagunare senegalese della Casamance: l’oppressione coloniale, il sogno delle indipendenze, le forme di neocolonialismo, le migrazioni dalle campagne, la recente urbanizzazione selvaggia, la speranza dell’autonomia, la tragica realtà della guerriglia indipendentista che, dai primi anni ‘80, grava su questa regione. Alle vicende politiche si affiancano gli eventi climatici: le carestie dovute alle siccità degli anni Settanta e Ottanta e la conseguente salinizzazione dei terreni.

Questo è il contesto in cui la Storia di Juliette Diagne si dipana e si intreccia tra il suo ruolo di madre di famiglia e la rete delle relazioni vernacolari. Julitte nasce a Mlompl, un villaggio nel cuore dei Paesi Diola, nel dipartimento di Oussouye, alla fine degli anni ‘30. Nei primi anni ’60 ricopre il ruolo di responsabile, prima regionale poi nazionale, della Gioventù Cattolica Rurale Senegalese. Fino ad arrivare ad essere un componente dell’Ufficio Mondiale del Movimento. Verso la fine degli anni ‘60, di ritorno dopo l’esperienza internazionale, diventa Responsabile dello Sviluppo Rurale presso il Ministero dell’Agricoltura e, in un secondo mandato, al Ministero della Donna e dell’Infanzia senegalese a Dakar.

Contemporaneamente, sotto la spinta della popolazione, continua la sua militanza politica come deputato del Partito Socialista Senegalese. Alla fine degli anni ottanta Julitte Diagne, assieme a Pascal Manga, fonda l’O.N.G. A.S.D.I. (Association Sénégalaise pour le Développement Intégré) per rispondere, dopo i primi, devastanti, anni di guerra civile, all’aggravarsi delle condizioni di vita delle popolazioni rurali.

La sintesi del lavoro di animazione sociale e di emancipazione delle contadine e dei contadini nel dipartimento di Oussouye e degli immigrati interni a Dakar, sta nella quotidianità della relazione diretta con le persone. Questa sintesi si ritrova nella “normalità”, nella condivisione degli spazi, dei problemi familiari (che spesso diventano saghe claniche che coinvolgono reti di persone), nella convivialità del riso e del vino di palma, nell’essere presente, nel mettersi in discussione, nel parlare la stessa lingua e nel sottostare, come tutti, ai “limites” della Tradizione. Ma l’aspetto straordinario del lavoro di Julitte e di A.S.DI. sta nella “modernità” dei suoi contenuti come la capacità di recepire contributi provenienti da settori diversi e la rivalorizzazione della Tradizione in termini di innovazione.

L’altro punto focale del lavoro di Julitte Diagne è il cibo. E cibo per un diola significa riso, (e vino di palma). Migliorare le condizioni di vita, significa migliorare l’alimentazione. Da qui la lotta contro la salinizzazione delle risaie coltivabili, con il sistema delle dighe antisale; la rete degli orti di villaggio autogestiti dai Groupements femminili, per arricchire ed integrare la dieta della famiglia con frutta ed ortaggi freschi, senza alcun trattamento chimico e la creazione di una struttura, la Mutuelle di credito e risparmio, che permetta alle contadine di accedere a piccoli prestiti a condizioni eque, per sostenere la microimprenditorialità femminile. Per questo suo impegno Julitte Diagne, alla fine degli anni novanta, è stata insignita con la più alta onorificenza senegalese: la “Médaille de Lion”.

“Il valore è il denaro, il cibo e la sussistenza. Ma il valore sono anche i valori relazionali e la riconoscenza.. i contadini stessi possono essere dei trasmettitori di conoscenza ai professori universitari.”. Questa è una citazione di un passo di Julitte Diagne tratto da una riunione di A.S.D.I., su una delle progettualità ora in cantiere, che riguarda la rivalorizzazione in ambito aromaterapico delle piante aromatiche della Farmacopea Tradizionale Senegalese della Casamance. In queste parole c’è la filosofia e l’essenza del suo lavoro.