Varesi racconta il suo Artusi

Valerio Varesi, il celebre giornalista-scrittore, è stato ospite a Casa Artusi per presentare il suo ultimo romanzo, ‘Il rivoluzionario”. Ci siamo fatti raccontare il “suo” Artusi.
Se le dico Artusi, la prima cosa che le viene in mente?
“La cultura della cucina, quella capacità di salvare dall’oblio tante ricette che sarebbero finite nel dimenticatoio. La gastronomia fa parte del nostro patrimonio, così come i nostri monumenti. L’Italia dovrebbe fare un monumento ad Artusi: per la prima volta ha raccolto in un libro le tante cucine regionali con le loro tradizioni”.
Ricordi personali di Artusi?
“Una bellissima edizione dell’Einaudi che mi sono letto a suo tempo. Aggiungo la biblioteca tematica proprio qui a Casa Artusi, ben curata e fornita”.
È ancora attuale il manuale artusiano?
“Le ricette invecchiano nella misura in cui i cibi cambiano. Oggi siamo di fronte a mangiari più standard e industriali, anche se assistiamo a un ritorno del naturale e del biologico. Credo però che lo spirito dell’Artusi, quella capacità di mettere insieme gli ingredienti come un alchimista, sia rimasto intatto. Il gastronomo di Forlimpopoli è come un narratore e un poeta: il problema non sono le parole, ma come metterle insieme. Così è l’Artusi con gli ingredienti”.
Cosa ne pensa dell’invasione della cucina in televisione?
“E’ una domanda che mi pongo spesso, per la sua paradossalità: siamo un popolo di obesi e sedentari che dovrebbe mangiare meno e invece assiste passivo alla invadente offerta televisiva”.
Che risposta si è dato?
“A mio parere noi proiettiamo sul cibo quella che è una libido di altro genere. Per esempio la passione politica che viene meno: ci si butta nel cibo come consolazione. Il rapporto col cibo ha a che fare con la mente, può essere quindi un sintomo di disagio sociale, di solitudine, di mancanza di identificazione dell’individuo da questo mondo. Parlo ovviamente di un processo inconscio”.
Al suo commissario Soneri piace mangiare bene: come concilia lo stare a tavola godereccio con i ritmi frenetici delle sue indagini?
“Soneri è un indagatore lento, induttivo, diverso dai commissari anglosassoni dai ritmi sincopati che si affidano alle più moderne tecniche investigative. Soneri, invece, riflette molto sulla realtà, entra nel profondo delle cose. Per me il giallo è lo strumento per raccontare ciò che avviene attorno a noi”.
A Soneri piace la cucina emiliana: si aprirà anche a quella romagnola?
“Lui sta molto bene nel suo habitat, è un conservatore in fatto di gusti, anche se non è chiuso ad altri sapori. Non escludo che ciò possa avvenire”.
Filippo Fabbri

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